Dalla musica (compositore, autore, cantante) alla produzione discografica, dalle opere letterarie a quelle teatrali. Luca Bonaffini è…?
Luca Bonaffini è se stesso finalmente, ci ha impiegato un po’ di tempo però prima di riuscire a capire che noi siamo la summa di tutto ciò che facciamo, e non solo la buona espressione di una parte di noi stessi, ci vuole tanto tempo ed io lentamente e inconsapevolmente, con grande coraggio, ho costruito quella che è la mia biografia fino ad oggi, cioè tutte le cose che mi piacciono e che con grande invidia guardo negli altri e che con grande umiltà cerco di riproporre a modo mio. Per cui quando io ho iniziato a scrivere canzoni facevo il cantautore perché mi piacevano i cantautori; mi sono appassionato del teatro canzone e mi sono dedicato più alla parte autorale, alla regia, ai monologhi; amo leggere, quindi a breve uscirà anche un mio libro, che tra l’altro non è stata una scelta mia, ma una richiesta che mi è stata fatta. Tutte le altre cose, anche quelle delle direzioni artistiche, e tutto ciò che ha a che vedere con l’organizzazione e con l’operatività, l’attività di culturizzazione dei territori, che è una cosa che faccio fin da ragazzo, compensa gli altri aspetti mancanti. Ecco, diciamo che quello che non sono mai stato è essere un buon discografico commerciale o un impresario di quelli capaci di organizzare i mega-eventi perché comunque, forse, non appartiene al mio DNA.
Come definisci la tua carriera artistica?
La mia carriera artistica è una carriera comunissima, nel senso che è una carriera con alcuni picchi medi. Soprattutto dal punto di vista autorale la massima espressione l’ho vissuta tra la fine degli anni 80 e l’inizio degli anni 90, che è coincisa anche con una forte acquisizione di strumenti professionali che sono indispensabili per esprimere la propria natura artistica.
Il mio percorso artistico, proprio di artista, credo che vada avanti sempre.
Quindi non si può, secondo me, parlare di carriera artistica, ma si può parlare di percorso artistico e di carriera professionale. Oggi la mia carriera professionale è la somma di tutte le cose che ho fatto con alti e bassi, come tutti gli artisti, perché comunque l’arte in qualche modo non ha pubblico, l’arte se lo crea attraverso degli strumenti professionali o mediatici.
L’arte di per sé vive di sé stessa.
Oggi dove collochi Luca Bonaffini?
Dal punto di vista artistico Luca Bonaffini resta un cantautore.
Dal punto di vista professionale Luca Bonaffini sta bene come promotore culturale.
Quello che mi dà soddisfazione è la possibilità di vivere non solo le canzoni perché magari coi dischi si fa una grande fatica a vivere, e concerti ne faccio ormai pochissimi.
Dal punto di vista professionale mi piace l’idea di avere questo ruolo di promotore culturale dell’altra parte che rappresenta tutto ciò che io non sono in grado di fare, cioè tantissimo.
Ad oggi, quante le tue canzoni?
Scritte restano, non le ho più contate, più di 2000. Pubblicate sono circa 150.
Io ho pubblicato molto di meno di quanto ho scritto perché, per me, la scrittura è stato un grande esercizio per me stesso, un grande laboratorio personale.
Come nascono le canzoni di Luca Bonaffini?
Io penso che un po’ per tutti nascano nello stesso modo.
Le mie sono sempre nate da un’urgenza, nel senso che la mia urgenza era quella di un adolescente comunque tormentato, come tanti della nostra generazione, ma anche come chi nella nostra generazione ha cominciato a pensare sin da ragazzino, e magari è stato fortunato nell’avere una certa sensibilità. Io praticamente ho cominciato a scrivere sulla base di questo impulso, questo aspetto motivazionale. Per me è sempre stato molto importante perché dovevo ‘buttare fuori’ delle cose, qualunque cosa, si trattasse di amore, di rabbia, di un incontro, di un amico. Quindi ogni giorno io parlavo attraverso queste canzoni, anche tre/quattro volte al giorno, perché per me era importante non produrre tanto per lo scopo finalizzato al produrre, al fare tanto, ma perché avevo tanto da dire. Col tempo è diventato più una ricerca, ho imparato, come tutti gli adulti, crescendo, a finalizzare di più le cose, quindi, mantenendo la natura iniziatica, originaria del mio sentimento, alla base del mio scrivere, del mio sentire e dopo, piano piano, si è ottimizzato finalizzandosi in ricerche e quindi in concept.
Hai all’attivo tante collaborazioni, è una casualità ovvia del tuo percorso artistico o una ricerca voluta di potenziamento delle affinità artistiche?
Inizialmente era la seconda cosa che hai detto, poi di per sé io credo che le collaborazioni vadano un po’ selezionate, nel senso che adesso, ad esempio, c’è questa moda del voler condividere e collaborare. Negli anni 80/90 era difficile che gli artisti lavorassero tra di loro e in questo Pierangelo Bertoli era un grandissimo maestro perché lui insegnava l’importanza della condivisione e me l’ha trasmessa. Io quand’ero ragazzino avevo delle necessità talmente forti, impellenti, delle urgenze personali da difficilmente riuscire a condividere. Pierangelo mi ha portato molto su questa strada e piano piano ho attivato diverse collaborazioni, però mi rendo conto che le collaborazioni di oggi penso siano delle società, come le chiamo io ‘società di letto’, nel senso che comunque sono cose dove ci si dà una finalità. E’ difficile trovarsi in due, mettersi lì e dire ‘adesso io e te facciamo una canzone’, perché non è finalizzato. Se è finalizzato si collabora, se no, no. Una volta era diverso.
Una collaborazione ventennale con Pierangelo Bertoli: cosa ti lega al suo ricordo?
Amico o collega?
Com’era Bertoli?
Diciamo che sono due lussi, che io mi permetto di definire, perché era un grandissimo collega, perché lui per primo mi ha considerato un collega, e amico, perché lui più di una volta mi ha presentato come suo amico. Io non avrei mai osato, per me lui era un maestro prima di tutto, sicuramente, e lo è stato, un maestro artistico e un padre professionale. Collaborazione ventennale in senso ampio, nel senso che la nostra collaborazione effettiva non dura così tanti anni, però la nostra amicizia, la nostra, diciamo così, conoscenza si perché inizia nell’83 e finisce nel 2002. Abbiamo anche avuto dei ‘buchi’, dei momenti in cui non ci siamo proprio assolutamente sentiti perché io avevo scelto di allontanarmi per disintossicarmi dall’immagine che mi ero creato di me stesso e anche perché lui era davvero pesante nel farti notare quanto la verità faccia la differenza.
E qualcuno, qualche volta, ha bisogno anche di mentirsi.
“LA NOTTE IN CUI SPUNTO’ LA LUNA DAL MONTE” e un diario segreto. Cos’è successo in una notte?
Questo lo scoprirete nel libro che è in uscita.
Quindi ti do una notizia in assoluta.
“LA SCOGLIERA” ripropone brani acustici con arrangiamenti pop rock e qualche tinta elettronica. Cosa racchiude questo album a parte due inediti scritti con Pierangelo Bertoli?
Questo album io l’ho definito, un po’ scherzando e un po’ seriamente, un album postumo.
Con il 2007 ho dichiarato proprio che sono scomparso come cantautore, nel senso che avevo deciso di non fare più nulla, ma non perché oggi vada di moda così, di per sé credevo di non avere più neanche il fisico. E devo dire che grazie all’anno scorso, anche ad Alberto Bertoli che mi ha chiamato per il 29 settembre (Modena, concerto tributo a Pierangelo Bertoli) e a tantissime altre cose che sono successe sempre legate al decennale di Pierangelo Bertoli, ancora una volta lui e ci tengo che questo esca, a ridarmi l’energia e la vita, io ho deciso anche di tornare a fare delle cose. ‘La Scogliera’ però non mi rappresenta, nel senso che è un album con delle canzoni che avevo comunque scelto io, però ha una storia a sé, che esce fuori contratto; non ho seguito gli arrangiamenti e diciamo che è un Luca Bonaffini un po’ riabilitato da uno che ha delle incisioni lì e ci fa degli arrangiamenti.
Mi han trattato un po’ come se fossi defunto, allora io l’ho definito l’album postumo.
I fan di Pierangelo Bertoli sono anche i fan di Luca Bonaffini?
Non credo, non tutti.
Allora ci sono due tipologie di fan. I fan del Bertoli diciamo antico, quello che proprio risale al ‘Vento Rosso’, e lì Pierangelo Bertoli è visto in qualche modo come bandiera politica, un uomo di punta politica e sociale molto forte. Poi c’è il fan club che vive del ricordo di chi ricorda.
Io appartengo a quelli che l’hanno sentito, non dal tempo del ‘Vento Rosso’, ma un po’ dopo, già da ‘Eppure Soffia’, quando lui lavorava per le case discografiche grosse ed era già nel mercato. Per me Pierangelo rappresenta, come per tanti, prima di incontrarlo, uno dei cantautori che fa parte della mia collezione, quindi la mia fonte di ispirazione iniziale. Però ‘Oracoli’ ad esempio, da molti Bertoliani puri, da molti puristi, è visto come un disco più leggero. Sicuramente, da quel momento lì in poi, almeno per alcuni anni, finché ci sono stato io, Pierangelo è stato fortemente influenzato da energia nuova, da linfa vitale. Dopo era però lui a scegliere, quindi io sono stato assolutamente uno strumento a sua disposizione e penso che non avrebbe comunque cambiato, cioè la sua linea sarebbe stata comunque quella, con me o non con me, perché ricordiamoci che lui è negli anni 80 e che è quello di ‘Pescatore’, che non è una canzone così pensante e pesante, se pur bellissima, è una canzone tranquilla, non è ‘A Muso Duro’, o ‘L’Autobus’ o ‘Il Centro Del Fiume’.
E poi comunque diciamo che noi, i minori, e mi piace questa definizione perché ‘ubi maior minor cessat ‘, da una parte, ma dall’altra i minori sono anche, alla scuola stessa di Giulio Romano c’erano dei pittori sconosciuti che però hanno fatto delle cose stupende, bellissime, e allora i minori spesso sono visti un po’, non dico con invidia, però come un tramite per quello.
Per cui non tutti sono fan, una parte sono anche fan, mi vogliono bene, questo sicuramente.
Fan è un’altra cosa, ma mi vogliono bene.
Progetti per il futuro?
Questo libro di cui ti ho detto in assoluta anteprima che racconterà ‘LA NOTTE IN CUI SPUNTO’ LA LUNA DAL MONTE’ che io invece di trasformare in un tour celebrativo di Bertoli, anche se faccio qualche serata, però ho preferito trasformare in una testimonianza, perché comunque non è la storia di Pierangelo, ma è il mio vissuto da allievo, avrei potuto anche non mettere il nome e cambiare il titolo della canzone, ma quello che conta è il tipo di sentimento e raccontare questo modo di scrivere di Pierangelo, per cui con grande ammirazione.
…anche perché Pierangelo Bertoli ti aveva telefonato per andare da lui una notte, per scrivere questa canzone e per presentarla il giorno dopo al festival di Sanremo…
Esatto.
…quindi è molto tua…
Si, è mia anche se la mano è molto sua cioè, quando noi scrivevamo io ero un po’ il suo specchio però le parole spesso erano sue, le mie idee erano suggerimenti. Lui per scrivere meglio aveva bisogno di avere accanto qualcuno. Io ero facilmente sostituibile, non lo so se facilmente, forse esagero; comunque sostituibile perché la vera forza era lui. Io potevo anche dire “quest’immagine mi ricorda qualcosa di fangoso e quindi…” e lui diceva “ volti di pietra/strade di fango”. Questo era lo scambio. La letteratura e la poetica è sua, poi quello che io ho scritto e non firmato non mi pesa affatto perché comunque lui tante volte ha corretto delle cose mie, anche in B.L.E.Z., e non ha preteso nessuna rivendicazione. Per cui tra di noi c’era un… com’è che si può dire…
…un’energia insostituibile?
Esatto.
…quindi non poteva sostituirti con un altro!
Questo non lo so, ma non vorrei mai essere io ne a doverlo dire, ma neanche a pensarlo perché poi alla fine se qualcuno con me avesse lo stesso tipo di sensazione un po’ mi dispiacerebbe perché tutti noi desideriamo non dipendere da nessuno. C’è da dire che sicuramente noi abbiamo lavorato molto bene insieme, è stato molto bello, faticoso perché c’erano anche dei conflitti, a volte generazionali, di modo di intendere le cose, la mia testardaggine, poi io sembro un ‘morbidone’, ma ho le mie idee.
Ti propongo una tua domanda-riflessione:
“Come mai quando un artista noto reinterpreta brani già pubblicati si chiamano tributi e invece quando un artista meno noto le reinterpreta si chiamano cover?”
E’ una battuta auto-ironica nel senso che comunque noi ci siamo abituati ai dei piano-baristi che sono terrificanti e rifanno le canzoni di tutti e poi improvvisamente arrivano invece i grandi e ne reinterpretano altri. La differenza sostanziale però è nel carisma e nella capacità che ha un interprete, quindi non sta nella fama.
Oggi ci sono, guarda caso, delle Tribute-Band che altro non sono che Cover-Band.
Questa cosa l’ho detta nel 2001/2002 e alla fine si è rivelata attuale.
L’ultima domanda la lascio a te: cosa ti chiederesti?
Se io fossi un giornalista che cosa mi chiederei?
“Luca, se tu dovessi rinascere rifaresti la stessa cosa?”
ed io risponderei: “Si, ma la rifarei meglio…”