“CHIEDO SCUSA AL SIGNOR GABER” è uno dei migliori cd del 2010 e dà il nome al suo spettacolo teatrale.
Come nasce l’idea di portare un cd a teatro?
Nasce dal successo del cd che ha avuto non più di diecimila copie vendute, ma oggi vendere diecimila copie è tantissimo. Anche colpa del web, devo dire la verità, perché oramai i ragazzi scaricano a raffica e allora la discografia è molto in crisi.
Un disco sulle prime canzoni di Gaber che tre anni fa ha venduto così tante copie e che ha avuto delle critiche molto belle da parte dei più grandi critici musicali della stampa italiana, ha dato l’idea di portarlo anche in teatro. Prendere delle canzoni, attaccargli dei monologhi, come nella miglior tradizione del Teatro Canzone: due canzoni e un monologo, un’altra canzone e un altro monologo, altre due canzoni e un altro monologo.
Essendo il decimo anniversario della morte di Giorgio, e siccome manca tanto a tutti noi artisti, ma anche credo agli italiani e al suo pubblico, ho pensato di rifare questo omaggio: ho messo in piedi uno spettacolo molto colorato, molto gioioso e con le prime sue canzoni contaminate e riarrangiate dai miei musicisti.
A chi è rivolto il suo spettacolo? Sono stato a New York e ho cantato ‘Barbera e Champagne’ e ‘Torpedo Blu’ e vedevo che gli italo-americani che le cantavano queste canzoni con me. Sono canzoni anni ’60, è vero.
Il mio pubblico non è fatto di ventenni, anche perché i ventenni non hanno mai i soldi per venire a teatro, purtroppo, perché i teatri ormai costano, però ho un pubblico eterogeneo, dai quaranta in su. Ma è rivolto a tutti.
Ci sono molti ragazzi abituati a sentire Gaber dai genitori, e lo conoscono, e questa è una cosa bella.
Questa è una versione di Gaber diversa, contaminata anche con la musica dei nostri giorni.
Enzo Iacchetti, la Wits Orchestra e un Gaber stravolto e arrangiato modernamente.
E’ una promessa di cultura e risate?
Lui faceva cultura, però sempre contro, un certo establishment, un certo modo di pensare, sia di destra che di sinistra. Era precursore dei tempi, secondo me era una specie di ‘Grillo democratico’ che urlava, però si confrontava con gli altri. Non che Beppe non sia democratico, per carità, però Giorgio aveva previsto il decadimento morale della nostra nazione già dodici/tredici anni fa.
Io ho voluto rappresentare il primo Gaber, quello famoso in televisione perché a me la televisione ha dato la popolarità, quindi un omaggio a Gaber in televisione.
Poi ho scelto due pezzi un po’ più duri per scioccare un po’ il pubblico, quelli degli ultimi tempi.
Perché chiede scusa al Signor Gaber?
Gli chiedo scusa perché è un amico.
Eravamo molto amici e ho contaminato le sue canzoni. Per dirti, in ‘Barbera e Champagne’, che è una delle canzoni più famose di Giorgio, c’è ‘Tanto tanto tanto’ di Jovanotti e c’è ‘Per colpa di chi’ di Zucchero. Queste contaminazioni fanno un po’ tirare il naso ai Gaberiani perché dicono: ‘Ma che hai fatto?’. E’ chiaramente una provocazione, anche perché sono state fatte da grandi musicisti, Marcello Franzoso, gli amici della Wits Orchestra che sono tutti dei grandi professionisti, hanno suonato con De Andrè, con Paolo Conte, con Celentano, e quindi con perizia musicale.
Gli chiedo scusa perché mi sono permesso di maltrattarle un po’. Luzzatto Fegiz ha detto:“geniale scempio di Enzo Iacchetti”.
E’ vero, è uno scempio, però mi fa piacere anche geniale.
Però a Giorgio sarebbero piaciute molto queste canzoni messe così.
‘MA PENSA TE’ ‘IL RICCARDO’ con ‘BARBERA E CHAMPAGNE’ e ‘UNA FETTA DI LIMONE’… ‘L’ORGIA’ de ‘LA BALLATA DEI CERRUTI’ e ‘TRANI A GOGO”, su una ‘TORPEDO BLU’ con ‘BENZINA E CERINI’ a ‘PORTA ROMANA’, ma ‘COM’E’ BELLA LA CITTA’”…
Un (mio) pensiero un po’ articolato.
Perché ha scelto proprio queste canzoni?
Alcune sono molto famose: ‘Torpedo Blu’, ‘Barbera e Champagne’, “Il Cerrutti Gino” , ‘Trani a Gogò’.
‘Benzina e cerini’, ad esempio, è una canzone sconosciuta e l’ho messa perché Gaber è arrivato ultimo a Sanremo, nel ’61, con questa canzone, e per fare controbalzo a Pupo e Filiberto che sono arrivati secondi tre anni fa.
Allora il mio pensiero è: “Siamo andati avanti in 52 anni o siamo tornati indietro?”
Secondo me siamo tornati indietro, di parecchio.
…scusi se Le apro la parentesi, anche il fatto di Elio e Le Storie Tese che hanno portato la canzone mono-tona…
La canzone mono-nota era una canzone nostra del 1983, però non siamo stati a far polemiche con un grande musicista come Elio. Sicuramente lui veniva a vedere la Wits Orchestra, me lo ricordo perché ha avuto anche delle collaborazioni con loro. Evidentemente dopo tanti anni ha avuto la stessa idea.
Non voglio pensare che l’abbia copiata volontariamente, però sta di fatto che mono-tono, anzi, monotono, era la canzone che noi avevamo già pubblicato.
A Striscia la notizia c’è stato il confronto tra le due canzoni, ma lui non ha, intelligentemente, raccolto la provocazione, quindi non ha risposto, ma con tutta la nostra stima e il nostro rispetto.
Giorgio Gaber è intramontabile.
Oggi ci sarebbe più bisogno di Gaber o di Teatro Canzone?
Purtroppo il Teatro Canzone non c’è più perché con la scomparsa di Gaber è scomparso il Teatro Canzone, anche se in tanti lo fanno, ci provano a farlo.
Secondo me lui non ha eredi, può essere reinterpretato se vuoi.
Io lo interpreto a modo mio, ci sono anche tanti altri miei colleghi che lo interpretano, Neri Marcorè, Paolo Rossi e tanti altri comici che cantano le cose di Gaber, ognuno si sceglie quelle più adatte.
Io ho sempre fatto Teatro Canzone.
Anche Giorgio l’ha preso da Brel, i francesi lo facevano ancor prima.
Lui ha fatto una scelta ben precisa, in Italia non si conosceva questo fatto di cantare e poi di parlare, e poi di cantare e di parlare.
Raccontare cantando.
Adesso è una tecnica che in pochi usano perché bisogna saper cantare, prima di saper parlare bisognerebbe saper cantare, quindi questo show è uno show di Teatro Canzone.
La mancanza di Gaber è secondo me è una voragine.
Lui, poi adesso è scomparso anche Enzo Jannacci.
Credo che dietro ci sia un vuoto artistico molto pesante.
Cosa chiederebbe a Gaber se fosse qui?
Andavamo spesse volte a cena insieme ed era lui che mi chiedeva cosa ne pensavo delle sue cose, io gli chiedevo i consigli per le mie.
Adesso gli chiederei: “ Secondo te dove andiamo a finire? Arriverà questo Rinascimento, oppure continueremo in questo Medioevo, che tu già anticipasti?”
Questa è una domanda che gli farei, sicuro.
Cosa vorrebbe che Gaber dicesse o chiedesse ad Enzo Iacchetti?
Vorrei che mi rispondesse: “Stai tranquillo, per tuo figlio E per i figli di tuo figlio ci sarà un bel futuro.”
Mi piacerebbe proprio che uno come lui me lo dicesse, perché se me lo dice un politico non ci credo.
L’ultima domanda la lascio a Lei: cosa si chiederebbe?
Se sono un buon uomo.
Credo di aver fatto una buona carriera, di essermi sputtanato pochissime volte, ma quelle poche volte senza neanche saperlo e immaginarlo, magari ero più giovane.
Mi chiedo :”Hai fatto tutto con dignità, con la tua passione?”
Si. Ho fatto tutto senza mai una raccomandazione, rinunciando anche a tanti soldi.
“Cosa farai da grande?”
Vorrei continuare, finché sto bene, a progettare cose nuove, ma soprattutto vorrei dare una mano a tutti questi ragazzi che anche hanno talento nella musica e ormai non hanno più chance, né in televisione, né a Sanremo, né a livello discografico.
Bisognerebbe ripartire dal punto zero, cioè bisognerebbe che crollasse tutto e che si diventasse un posto dove va avanti solo chi è capace di fare, in tutti i rami.
E mi chiederei: “Ce la farai?”
Finché la salute tiene ce la farò, poi mollo, è giusto che vadano avanti anche gli altri. Però i giovani bisogna aiutarli, devono essere anche i vecchi ad aiutare i giovani, con la loro esperienza, con la loro volontà e con la voglia di vederli felici, non sbandati e alla ricerca di qualcosa che neanche si immaginano.
Noi quando avevamo vent’anni avevamo davanti una vita straordinaria, piena di idee. Ogni giorno nasceva un gruppo musicale, una canzone dei Beatles, il giorno dopo una dei Rolling Stones, poi usciva un film di Fassbinder. Era un fermento culturale pazzesco.
Loro non hanno davanti nulla, le discoteche, l’Happy Hours e credo che molti di loro vedano proprio un muro nero davanti, è per questo che tante volte si lasciano andare.
Parlo dei giovani in generale, ma l’altro giorno, al 25 Aprile, mi hanno chiesto dei Partigiani e io dico guai a dimenticarli, guai a dimenticare quella lotta di liberazione.
Ma i veri partigiano sono quelli che oggi guadagnano 800 Euro al mese con una famiglia da mantenere e sono quelli che sono disoccupati, sono quelli che sono in cassa integrazione e non hanno uno spiraglio per il futuro.
Loro sono i veri Partigiani. E questa è la nuova Resistenza. Io sono ancora in prima linea comunque, nonostante l’età.
Mi permetta un’ultimissima domanda…
Tutto questo fa parte di un sogno nel cassetto?
Il mio sogno nel cassetto è di vivere il più a lungo possibile ormai.
Quando avevo vent’anni ne avevo cinquanta di sogni nel cassetto.
Qualcuno l’ho anche realizzato.
Volevo diventare un personaggio, volevo avere successo.
E’ da quando ho nove anni che sono con una chitarra in mano e il microfono davanti.
Mi davano 100 Lire per cantare tre canzoni, i miei zii mi alzavano su una sedia, io cantavo, poi scendevo e mi intimidivo e stavo zitto tutto il giorno.
Per me il teatro è stato una terapia, sto bene solo sul palco, quando sono fuori (a parte con te che fingo una certa gioia) io sono scontroso, irriverente, sempre incazzato, ma è giusto che sia così.
Perché dovrei abbandonarmi in una villa in Sardegna con lo Yacht sotto?
Non sarei capace di non fare niente, tanto meno di vedere la vita in quel modo lì.
Mi piace l’arte, mi piace la musica, è sempre stata la mia passione.
E’ passione pura.
Ho fatto una gavetta di 25 anni, io ho cominciato a suonare al pubblico quando ne avevo 14 e sono arrivato da Costanzo che ne avevo 39, e da 14 a 39 ho avuto una famiglia, ho avuto un figlio che adesso è grande, ho lottato e ho sempre fatto questo mestiere, sempre, facendo la fame, però ho sempre fatto questo mestiere.
Poi però quando mi mancavano i soldi, di sera andavo a servire nei ristoranti, magari canticchiavo le ‘canzoni bonsai’ per vedere se la gente rideva, e fino al ’90 ho fatto una fame terrificante.
Però… ‘Chi la dura la vince’.
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