C’era una volta… Un insegnante espulso dalla scuola perché il preside non condivideva i suoi metodi di insegnamento. Si era poi messo a fare lezioni private perché, grazie ai metodi graditi dal preside, i ragazzi capivano poco e quindi avevano bisogno di aiuto.
E’ tutto vero?
Certo.
Qual è il metodo che non piaceva al preside?
Era un metodo moto libero, in cui ci si divertiva molto.
Un metodo in cui il giovane non vede in te l’insegnante irraggiungibile, ma sostanzialmente un amico a cui, comunque, deve dare retta, che ha un suo ruolo. Un metodo per cui si ride molto, e ci si diverte molto quando si studia e quando si spiegano le cose. Questa era la metodologia.
Io volevo essere visto come un capobanda da seguire, più che un insegnante da ascoltare con timore.
Lasci la cattedra e scegli di lavorare a qualcosa che ti piace di più, ovvero: la musica, la scrittura e la recitazione.
C’è un’idea di progetto diverso, unico e nuovo nel tuo futuro?
I progetti si stanno definendo man mano che procedo nel tempo. Mi vengono idee nuove e cerco di realizzarle. Adesso come adesso sono concentrato su due grandi tematiche che sono la storia scienza e la storia del Cabaret.
La storia del Cabaret si articola attraverso il progetto Musicomedian, attraverso un libro che ho scritto, che è stato editato da Garzanti, attraverso tutta una serie di ricerche che continuiamo e continueremo a fare con la costituzione dell’archivio storico del Cabaret che insedierà qui alla Corte Ospitale.
E questo è un aspetto.
L’altro è la storia della scienza. E’ un progetto editoriale che io sto portando avanti con Salani. Sono quattro, o forse cinque, libri su questo argomento, a cui io ho collegato uno spettacolo che si intitola ‘Sulle spalle dei giganti’ e racconta la storia della scienza in teatro.
E’ un ritorno alle origini per quello per cui hai studiato?
Beh, si! Perché l’idea di fare uno spettacolo che parli di quello che io ho studiato, è una bella cosa. E parlarne in maniera divertente. ‘Sulle spalle dei giganti’ è uno spettacolo in cui ci si diverte molto. Eppure racconta la storia della scienza esattamente com’è andata.
L’importante, in queste cose, è sempre essere fedeli al racconto, nel senso che non devi raccontare delle palle per far ridere, ma devi raccontare, nel modo giusto, le cose vere. Nel modo giusto intendo in un modo divertente, in maniera tale che la gente non si annoi e che, alla fine dello spettacolo, le persone si chiedano se quello che ho detto è vero. E lo vanno a verificare. Questa per me è una grande vittoria perché vuol dire che smuovi le teste.
E’ chiaro che in un’ora e mezza non si possono raccontare millenni di storia, sei molto in superficie come ragionamento, anche se in alcuni punti si va più a fondo. Alla fine, la cosa più importante è che le persone capiscano che debbano informarsi per i fatti loro.
Dove collochi i programmi tipo Zelig e Colorado?
I programmi tipo Zelig e Colorado sono semplicissimamente dei programmi di varietà, di avanspettacolo e di animazione da villaggio.
Tutto qui, non è nulla di più, che va benissimo, però non chiamiamolo ‘Cabaret’.
Io non ho nulla in contrario a queste trasmissioni, ma non sono trasmissioni di Cabaret.
Il Cabaret è un’altra cosa.
Un incubo nel cassetto?
Forse la paura che possano succedere delle cose che non ti aspetti e che siano negative. L’unico incubo è quello lì, siccome il futuro non lo conosciamo, non sappiamo come sarà, può succedere di tutto, speriamo che succedano delle cose belle e che si portano avanti dei ragionamenti interessanti e si possa arrivare a realizzare i progetti che mi sono prefissato.
L’ultima domanda la lascio a te: che cosa ti chiederesti?
A volte mi chiedo se vale la pena fare tutto quello che sto facendo.
Nei momenti di sconforto viene fuori questa domanda perché è molto difficile il percorso che sto attuando. Però, quando mi capita, mi guardo allo specchio e chiedo: “Ti piace quello che stai facendo?” Alla fine rispondo sempre di ‘Si’, perché rimanere fedeli a se stessi è la cosa più importante in assoluto.
Poi si può sbagliare, anche in questi casi.
L’errore è insito nella nostra indole, nessuno è perfetto.
L’importante è capire l’errore e migliorarsi continuamente.
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