“IL CAMMINO PER SANTIAGO” titolo originale “THE WAY”. Film uscito al cinema il 27 Giugno 2012. Regia Emilio Estevez. L’hai visto?
Pietro Scidurlo: Si, l’ho visto e l’ho comprato. E’ una domanda che non mi aspettavo. Mentre ti parlo mi viene un brivido, perché sono quelle cose che magari, per noi pellegrini che possiamo sembrare un po’ in ‘flipper’, uno pensa ‘figurati, l’avrà visto una decina di volte’. Invece io l’ho visto una volta sola e mi è piaciuto tantissimo proprio il ripercorrere, attraverso il film, quello che è stato il mio Cammino. Sebbene ho dovuto percorrere la via asfaltata, vedere il passaggio di tanti paesini che ho toccato anch’io e mi ha fatto rivivere tutta una serie di emozioni. Ci sono alcune parti del film dove la commozione è inevitabile, perché è la storia di un padre che si ritrova catapultato nel Cammino quasi per forza. Io ho sempre detto ‘cercavo qualcosa, ma non sapevo che cosa’. Non voglio essere presuntuoso, ma credo che nessuno dei pellegrini che fa un percorso del genere lo faccia tanto per, c’è sempre quel senso di irrisolto nella vita di ognuno che ci porta a fare quello che facciamo, io per primo.
Franco Accorsi: L’ho visto ed è l’ultima cosa che ho fatto prima di partire. Mi è piaciuto, è un po’ americano, ma secondo me è fatto bene, è un po’ parziale perché il Cammino è un’esperienza assolutamente personale, tutto è personale, dal perché vai, dal come lo fai e da come te lo gestisci. Non esistono vincoli. L’unico può essere che alle 8:00 del mattino devi essere fuori dall’ostello perché devono fare le pulizie, e che non puoi dormire lì due notti a meno che non sei sciancato e allora te lo concedono, e può succedere. Però è una regola e se hai dormito in questo ostello stanotte, domani mattina pigli e te ne vai, e continui il tuo Cammino. Il film l’ho visto e da 1 a 10 direi un 7. Pensavo peggio, è fatto con una certa dose di cuore, è commovente, ma il Cammino fa piangere.
Cosa ti ha spinto a percorrere il Cammino di Santiago?
Pietro Scidurlo: Sono tante le motivazioni che mi hanno spinto a percorrere Il Cammino di Santiago. Questa cosa di non essere a posto con me stesso, la voglia di fare qualcosa di straordinario per me e per i ragazzi come me. E’ brutto dirlo e possiamo stare qua a discuterne per anni, però se non facciamo noi una cosa per noi, purtroppo non ci aiuta nessuno e se il problema non ce l’hai in casa, non te ne può fregare di meno. La voglia di trovare, fondamentalmente, l’accettazione della mia situazione, della mia disabilità, è questa probabilmente la sorgente che mi ha spinto a provarci.
Franco Accorsi: Mi ha chiamato. Erano due anni che ci pensavo, non so il perché, io non sapevo nulla, ho iniziato a informarmi e a leggere qualcosa a maggio/giugno dell’anno scorso e sono partito a ottobre. Ho iniziato a vedere siti, a leggere manuali, a cercare tutto quello che potevo trovare. A giugno sapevo, nello stesso modo che so di essere un produttore di vino, che sarei andato a fare il Cammino, sapevo che avrebbe fatto parte delle cose che dovevo fare.
Pietro, Yari Zardini ti ha seguito in bici. E’ stato solo un compagno di viaggio? Hai ritenuto importante la sua presenza?
Pietro Scidurlo: Yari Zardini non è stato solo un compagno di bici. Yari è un amico che è entrato nella mia vita per caso. Quando sono arrivato, a due settimane dalla partenza, a non avere nessuno che mi accompagnava, sapevo che lui era senza lavoro, che lui non avrebbe potuto permettersi questo viaggio fuori porta, però in lui c’era comunque il coraggio di accettare una cosa di questo genere. Yari era pronto non solo dal punto di vista fisico, ma anche a ottemperare delle mancanze a livello sociale. Se io avessi avuto bisogno anche solo di fare pipì, piuttosto che di altre cose, sapevo che mi avrebbe aiutato, lui mi ha sempre detto: “Qualsiasi cosa ci si pone davanti l’affrontiamo” e quindi Yari non è stato soltanto un compagno di viaggio. Dall’altro canto ci sono stati momenti difficili, però ho sempre cercato di smussare gli angoli perché non era importante quello che pensava Yari, mio padre, io, o quello che pensava mia madre, se noi rimanevamo uniti, il Cammino avrebbe potuto metterci davanti qualsiasi cosa. E’ un po’ che non lo sento, Yari era nell’ombra prima del mio Cammino ed è tornato nell’ombra. Vorrei aiutarlo perché lui ha aiutato tantissimo me,vorrei potergli trovare un lavoro, ma oggigiorno è tutto complicato, lui vorrebbe lavorare a contatto con gli animali, con la terra, quindi uno dei lavori più nobili del mondo, a mio avviso. Ancor oggi non sono riuscito a dargli quella mano che lui ha dato a me. Colgo l’occasione per chiedere a chiunque avesse bisogno della manovalanza per lavorare la terra, che conosco un ragazzo molto in gamba che non vede l’ora di poterlo fare, quindi che gli venga data questa opportunità.
Franco, quanto hai ritenuto importante non avere compagni di viaggio?
Franco Accorsi: Fondamentale. Sarei partito in modo diverso, ma non l’ho nemmeno valutato, io non ho chiesto a nessuno di venire. Gli unici che sapevano che sarei partito per il Cammino erano mio fratello Mario e la famiglia, anche perché non sapevo come sarebbe andata, sapevo solo che erano 800 chilometri. Il giorno prima ho salutato tutti, tramite Facebook, con un ‘Ciao’ e gli ho pubblicato la canzone di Cocchi e Renato, quella ‘…e la vita, la vita…’, e basta. Un mese dopo ho pubblicato le foto.
Il Cammino: prima – durante – dopo. Cosa accomunano e cosa distinguono queste tre fasi?
Pietro Scidurlo: Il Cammino ‘prima’ è ricerca, attesa e ricerca. ‘Durante’ è concentrazione. Da un punto di vista fisico è una sfida che ti mette a dura prova, cioè parliamo di persone che camminano a piedi per tutta la giornata, che in bicicletta percorrono anche più di 100 chilometri. Io ne facevo 70/80 perché il mio pedalare con le braccia mi permetteva di fare quello. Ti porta, volente o nolente, ad un estremo, dopo è pura adrenalina, pelle d’oca, ricordi, un flash dietro l’altro. Una cosa di cui mi sono reso conto durante e verso la fine, è che ogni chilometro percorso è un chilometro che ti avvicina alla fine. Io questa cosa non l’ho mai somatizzata, quando ho cominciato a capire, mi son detto: “cavoli, ma sta già finendo!” e questa cosa un po’ di tristezza me la dava. Quando parti e fai il primo chilometro, non pensi che te ne mancano 799, ma quando ti avvicini a Santiago somatizzi proprio l’idea che il tuo cammino sta finendo. Quando arrivi succede il miracolo, capisci che Santiago non è la fine, ma l’inizio, però non le sai prima queste cose. Dopo sono ricordi, emozioni, ed è anche un po’ il metabolizzare gli 800 chilometri.
Franco Accorsi: Quello che distinguono le fasi… niente. Accomuna… il Cammino è Il Cammino. Il Cammino non è solo quando sei là, ma è anche interiore, non è fisico, se la si butta sul fisico non parti. Non è ragionevole farsi 800 chilometri, non è razionale. Si parte con un altro spirito, è un altro il motore che ti manda via. Ed è Il Cammino, la vita. La vita è un Cammino, qualunque cosa si faccia, ed è fatta di un passo dopo l’altro, e non è importante dove devi arrivare, è importante che ci sia un passo dopo l’altro, perché se no non arrivi, a prescindere. Se non fai un passo dopo l’altro non vai da nessuna parte.
Qual è stato il momento di maggior sconforto? C’è stato un attimo in cui non saresti voluto essere lì?
Pietro Scidurlo: No. Ci sono stati momenti di sconforto, ma non ho mai pensato di tornare indietro. Era una cosa troppo importante per me. I momenti di sconforto si sono concretizzati più affrontavo le difficoltà a livello pratico, quando mi sentivo vulnerabile, dove a volte bisogna mettere da parte l’orgoglio.
Franco Accorsi: No. Quando io sono partito ero aperto ad ogni possibilità, del tipo parto, dopo una settimana, dopo 15 giorni, mi rompo le scatole e torno indietro. Non avevo l’obbiettivo di finire, avevo l’obbiettivo di andare. C’è stato un momento, più o meno a metà strada, dove mi son chiesto: ‘E adesso?’ Ogni tanto trovi sul Cammino quanti chilometri hai percorso e quanti te ne mancano. Il primo che trovi è su una cantina con disegnato un pellegrino che dice ‘Hai fatto 200 km te ne mancano 576′; quando sei a casa non ci pensi, quando sei là si, però vai, cammini, trovi altra gente, bevi una birra e ti dimentichi.
E il momento di maggior soddisfazione?
Pietro Scidurlo: In realtà di momenti di maggior soddisfazione ce ne sono stati tanti, nel senso che è stata soddisfazione sconfinare i Pirenei, arrivare a Roncisvalle, è stata soddisfazione percorrere 81 chilometri e trovare, non so dove e non so come, la forza di farne altri 13 senza acqua e senza cibo. Soddisfazione è stata arrivare al Monte do Gozo, quando poi vedi le guglie di Santiago. Soddisfazione equivale ad emozione? Allora la soddisfazione per me è stata arrivare a Fisterra, Capo Finisterre, e quando ho visto l’oceano ho detto “Finalmente! Ti ho atteso a lungo!”
Franco Accorsi: Sul faro a Finisterre, quando eravamo io e altre due persone, al tramonto. La prima tappa vera è stata il Monte do Gozo, è quella collina da cui si vede in lontananza la cattedrale di Santiago, che io nel mio film me l’ero vista come una cosa che doveva essere stile medievale. Da lassù vedi questa spianata verde e in mezzo che ci cresce questa cattedrale, che in realtà non la vedi neanche, come essere a 5 chilometri da Milano e vedere il Duomo, stessa roba per cui noi siamo arrivati, ci siamo seccati bellamente la nostra bottiglia di vino. Noi avevamo pane, formaggio e vino. Siamo arrivati là e abbiamo parlato un po’ di vita. Il giorno del Monte do Gozo penso che abbiamo fatto 50 chilometri, ma andavamo come delle lepri e si camminava tutto il giorno, però era comunque il venticinquesimo giorno, c’era già dell’allenamento dietro. Il momento più emozionante e molto bello, arrivati a Santiago è stato sedersi per terra con una birra in mano, vicino ad un chitarrista di strada bravissimo, suonava chitarra classica e tutti pezzi della tradizione spagnola. Meraviglioso, ed era perfetto. Siamo rimasti lì, poi verso mezzogiorno siamo ripartiti per Finisterre, altri 90 chilometri, belli come il sole, altri tre giorni con l’obbiettivo di arrivare sull’oceano ad un orario decente per fare il bagno e poi arrivare al tramonto al faro di Finisterre con una bottiglia di vino a testa, pane e formaggio. Uno dei tramonti più belli della mia vita. Con un temporale che sulla destra avanzava con velocità incredibile e sull’oceano, noi eravamo già più alti, tutta la pioggia che increspava l’acqua e vedevi questa increspatura che ti si avvicinava, e nel tempo di cinque minuti sarà venuto giù un metro d’acqua. Il giorno dopo siamo andati in un ostello e la mattina successiva abbiamo preso l’autobus, siamo andato a Barcellona, abbiamo fatto colazione a casa di questo mio amico, una casa con una mamma, cosa che oramai non era più nelle nostre logiche. Poi ho preso l’aereo per tornare a casa ed è venuto a prendermi Mario, mio fratello. Il ritorno è stato Finisterre – tramonto – faro – vino, pane e formaggio – ci si guarda – è fatta – via.
Cos’hai provato durante il Cammino?
Pietro Scidurlo: Fatica. Io ho sempre detto una cosa : “Il mio Cammino sarà fatto di persone e non di luoghi”, perché i luoghi li puoi vedere in qualsiasi momento, ci puoi tornare, però alcune persone forse mai più le rincontrerai, e quindi la mia emozione del Cammino era tutte le volte che incontravo un pellegrino, interfacciarmi con lui, scambiare opinioni e sentire, man mano che mi avvicinavo a Santiago, che tante persone parlavano di me. Significava che ero sulla strada giusta e quindi ‘c’eravamo riusciti’ a far seguire quello che era il nostro Cammino, che per me era importante dal punto di vista pubblico, verso gli altri. Per me era importante che a tutti arrivasse il messaggio, “Guarda questo ragazzo in carrozzina, non è un’ agonista, non fa le corse, eppure la forza di volontà e di concentrazione, la forza della sua determinazione l’ha portato a fare queste cose. Se l’ha fatto lui, forse, davvero lo possono fare tutti”. Questo era il messaggio che io cercavo di portare in giro, perché potremmo prendere dieci disabili e chiedergli se vogliono fare Il Cammino di Santiago, ma non lo farebbero perché lo ritengono un’esperienza troppo dura. E’ vero, è dura, ma la determinazione fa molto. E’ un concetto che colpisce tutti in maniera trasversale.
Franco Accorsi: Ogni passo era una cosa diversa, ogni situazione era diversa, si prova la fatica fisica dei primi giorni, il primo neanche tanto, nonostante ci sia da scavallare i Pirenei, il primo giorno sono 27 chilometri, tanto per iniziare. Il primo vai, già il secondo giorno è fatica fisica, parecchia, poi inizi a vedere che gente di tutto il mondo, tutto il fottutissimo mondo, è sul quel Cammino, è lì. Diciamo che quello che si prova è la pace, la libertà, la serenità, la contemplazione e tutto questo farcito di un botto di gente. Poi considera a ottobre 2012. Il 2012 è stato definito l”anno della chiamata delle anime’ perché c’è stato un afflusso di gente notevolissimo. La cosa bella è la summa, le emozioni, questa completezza di tutto, soprattutto da un punto di vista umano. C’era tutto.
L’arrivo: quali sono stati i tuoi pensieri e quali le tue emozioni?
Pietro Scidurlo: A Santiago mi sono tolto le scarpe, mi sono sdraiato ed ero pronto a baciare dove ero arrivato perché l’emozione più grande era essere lì. Calcola che non avevo ancora visto Finisterre, ma ero arrivato a Santiago, c’ero riuscito. Avrei potuto ritirare da lì a poco la mia Compostela, noi avevamo fatto tutti quei chilometri così, per un pezzo di carta. Renditi conto, alle volte, come un’idea, o un oggetto così futile, possa diventare la spinta per fare quello che fai. Mi ricordo che mi sono spogliato e mi sono sdraiato, ho guardato il cielo della Spagna e l’ho adorato. Non me lo dimenticherò più quel cielo. Sul Cammino apprezzi tutta una serie di cose che nella vita normale non apprezzi, dalla fontana in mezzo ad un paese quando non hai più acqua, una bottiglia di acqua calda che ti metti nel letto quando hai freddo, e apprezzi un tetto quando magari piove. Ho sempre detto: “Il Cammino mi servirà per fermarmi, per capire ed apprezzare tutto quelle cose che oggi non sono in grado di apprezzare.” Per me era anche questo il senso del cammino, cioè fermarmi e capire dove stavo andando e cercare di trovare quelle che erano un po’ le origini. Il Cammino forse è servito a trovare quell’essenziale che oggi mi fa vivere meglio.
Franco Accorsi: Il pensiero è ‘Però! Cosa abbiamo fatto!’ Il ‘fatto di averlo fatto’, è un tassello che uno si porta dentro, come per dire ‘l’ho fatto e sai che ne sei capace’. Ed è importante. Il Cammino è una cosa molto particolare, dopo è vero che tutti hanno una predisposizione psicologica molto diversa e molto particolare. Ribadisco: ‘Il Cammino è per tutti, ma non tutti sono per il Cammino’. Il Cammino ti chiama e tutti quelli con cui ho parlato hanno avuto questa chiamata, e quelli che ho conosciuto e che se lo sono fatto tutto, arrivano con una predisposizione diversa. C’è una solidarietà e un modo di vivere comune, insieme, che è meraviglioso e che tutti dicono ‘eh, magari questa fosse la vita vera!’ Ma è quella la vita vera, è quello che c’è a casa che è pieno di sovrastrutture. Là puoi essere l’industriale, come puoi essere il disoccupato, ma non c’è nessuna differenza tra le persone. Nessuna. Sei là per camminare, e non è neanche una gara a chi arriva prima, ognuno segue il proprio ritmo.
Come definisci questa tua esperienza? La rifaresti?
Pietro Scidurlo: Io riparto i primi di giugno. Questa esperienza la definisco unica ed irripetibile, perché il primo Cammino penso che sia un po’ come il primo amore: non si scorda mai! Duro, faticoso, emozionante, però quella serenità che ho trovato lì non me l’ha mai data nessuno.
Franco Accorsi: Un’esperienza che merita. Un’esperienza piena, completa di tutto. Davvero. Se mi richiama, si.
Prima e dopo il Cammino. Tu pensi di essere diverso, c’è qualcosa che è cambiato?
Pietro Scidurlo: Esiste un Pietro prima e uno dopo il cammino? Si. Sono una persona completamente diversa e non l’ho mai nascosto. Io mi sono sempre reso conto che vivevo male e facevo vivere male. La disabilità non riguarda solo i disabili, ma riguarda un po’ tutti. Sono cambiato, sia con me stesso che con gli altri. Prima ero una persona molto più arrabbiata. Ho tanto di cui rammaricarmi se mi guardo indietro, però non mi rammarico di un solo secondo del mio Cammino. Sono tante le cose che non potrò più recuperare, però si può iniziare e ricominciare.
Franco Accorsi: Io non penso di essere diverso. Quello che può essere cambiato è una fiducia maggiore nel mondo. Sul Cammino vedi gente da tutto il mondo, faccio prima a dirti le nazioni che non ho visto, che non ho conosciuto, piuttosto che quelle che ho conosciuto. Ti rendi conto, anche che c’è gente, chi più chi meno, che è tarata sul fatto che questa società, così come è impostata, non è corretta. Bisogna cambiare i paradigmi, i riferimenti, bisogna modificare alcuni modi di vedere le cose. Paradossalmente, essendo un viaggio religioso perché nasce come tale, non ho trovato nessuno che lo fosse; tutti con una più o meno spiccata spiritualità, che non va confusa con l’essere credenti in una determinata religione. Più che cristiani, più che cattolici, direi cristici, perché Cristo è qualcosa di molto separato da quella che è la religione, sono due mondi un po’ diversi. C’è la consapevolezza che non è solo uno che tira la carretta, ma c’è tanta gente che vuole un mondo più a misura d’uomo. Una ricerca dei tempi della vita molto più vicini alla dimensione umana. E questa è la costante vera del Cammino, la dimensione della vita.
Chi percorre Il Cammino di Santiago?
Pietro Scidurlo: Tantissima gente, di ogni tipo, ho visto bambini, ho visto mamme con figli di pochi mesi, ho visto nonni con nipoti che avevano finito la quinta elementare che si sono incamminati dal paese più remoto della Germania, ho visto dei grossi imprenditori, uno dei quali mi ha raccontato di aver avuto tutto dalla vita, sono stato una persona molto fortunata e sono qui per ringraziare Santiago per avermi dato tutto quello che avevo sempre ricercato e desiderato. La cosa bella è che lui parlava solo Tedesco, e io per quanto parlassi inglese, spagnolo,italiano, e francese, noi ci capivamo con gli occhi e con i gesti. La cosa che mi porto dentro ancora oggi. Il cammino lo percorrono tutte quelle persone che come me hanno qualcosa di irrisolto. E’ inutile che si dica che ha fatto il cammino perché non sapeva cosa fare. Se io non fossi partito mai mi sarei reso conto di quanto sarebbe stato spaventoso e pericoloso rimanere fermo.
Franco Accorsi: Non è definibile il pellegrino, non c’è uno standard se non appunto la K della costante è una spiritualità e un farsi delle domande, il chiedersi se tutto ‘questo’ è giusto, se tutto questo è giusto.
A cosa, o a chi, bisogna credere per intraprendere questo Cammino?
Pietro Scidurlo: Credevo in me prima di tutto e nelle persone che avevano fiducia in me. Credevo in tutto ciò che era intorno a me. E’ inutile che io stia qua a dire di essere partito per un forte motivo di natura religiosa perché mentirei. Avevo bisogno di un percorso spirituale, all’interno di me stesso. Se da un lato ci sono milioni di pellegrini che partono per forti motivi religiosi, ti posso garantire che c’è un altro milione che parte per motivi più svariati.
Franco Accorsi: Non lo so. Ognuno crede in quel che crede. Credo che sia gente più new-age come impostazione filosofica, che mette dentro un po’ di tutto, dalla fisica quantistica, al buddismo, ai dettami di Cristo, al fatto che tutto sia energia. Senz’altro si deve credere alla Saint-Exupery che “l’essenziale è invisibile agli occhi” e che c’è un qualcosa di più oltre a ciò che si vede. Questo penso debba essere il motivo. Penso. Però ognuno è diverso.
800 chilometri a tappe, oppure 800 chilometri tutti di un fiato?
Pietro Scidurlo: Visto in senso morale della cosa penso che sia stata tutto di un fiato. Regnava in me quella curiosità che mi portava, di giorno in giorno, ad andare avanti, senza rendermi conto che più andavo avanti più mi avvicinavo alla fine del mio Cammino, quando ancora non sapevo se sarebbe stata la fine. Quando ti vedi ‘Santiago 30′ e sai che quei 30 sono chilometri, pensi di tornare indietro, ma per poterlo ripercorrere. Ho conosciuto alcune persone che sono in Cammino da una vita e da un determinato punto di vista gli stimo tantissimo e gli ammiro. Un mio grande sogno, ripensando a queste persone, è quello di andare a Santiago nel 2021, l’anno Sacro e partire in handbike da casa mia, e poi tornare indietro. Il vero pellegrinaggio parte dalla propria abitazione.
Franco Accorsi: Moralmente… probabilmente tutto di un fiato. Bella ‘sta domanda. Probabilmente tutta di un fiato per il fatto che ogni dieci minuti può cambiarti tutto attorno, per il fatto che puoi partire al mattino da solo, fermarti nel primo bar e magari incontrare dei pellegrini che hai perso di vista una settimana prima e continuare il Cammino insieme. E’ senza soluzione di continuità. Si parte da dove parti e si arriva dove arrivi, per cui c’è questa energia continua, questa pista, è un’autostrada energetica, è strano da spiegare, ma c’è un’energia che è incredibile. Lì ti rendi conto che non esiste niente se non l’energia, esiste solo energia. E’ una cosa spettacolare, non riesco ancora a capacitarmene. Quello che dai a cuore aperto e disinteressatamente ti ritorna. Doppio. Sempre. Niente ti lascia solo, nessuno ti lascia solo. E’ pieno di tutto. Ed è energia. La vita è energia e l’energia funziona per campi che si attraggono e che si respingono, non è nient’altro l’esistenza. Il Cammino è la prova pratica, in campo, di questa cosa. Il Cammino è così. La vita è così. Non è il Cammino, è la vita che è così.
L’ultima domanda la lascio a te: cosa ti chiederesti?
Pietro Scidurlo: Mi chiedo se sono contento di quello che mi sta dando il Cammino, perché sto ricevendo tante amicizie più vere rispetto quelle che ho frequentato fino ad oggi. Una pellegrina mi disse: “Quello che tu chiederai al Cammino, sappi che lo otterrai”. Ed io ho chiesto tantissime cose al Cammino, e adesso, pian piano le sto ricevendo tutte. Mi sto chiedendo se quando partirò a giugno sarà tutto pronto, e non come lo scorso anno che siamo partiti un po’ alla ‘carlona’, perché, per esempio, non ci sono degli sponsor, non ci sono tantissimi fondi e dovremo tirarli fuori di tasca nostra, e questo a volte fa innervosire le persone. Io mi sono rassegnato, i soldi vanno e vengono. Io sono un pellegrino, non sono un imprenditore. Ad oggi non ho un figlio e quindi non devo lasciare niente a nessuno.
Franco Accorsi: Un modo che ho di vedere il Cammino, oggi come oggi, è un po’ come un punto di riferimento molto importante per la società, prima che per la religione. A chi lo consiglierei? A nessuno, perché tanto chi lo vuole fare lo sente. A me personalmente ha dato molta fiducia nel mondo, questo si. C’è molto da fare, e bisogna partire da se stessi perché il Cammino lo fai tu, non te lo fanno gli altri, te lo possono raccontare, ma il cammino lo fai tu, ed è veramente una metafora della vita, geniale. E poi ti riappropri dei tempi dell’uomo, dei tempi della vita. I tempi dell’uomo sono da riscoprire, e ci si sta molto bene dentro i propri tempi.