In questo freddo venerdì di dicembre 2012 sono in macchina pronta per partire e la radio trasmette “A muso duro”.
A dieci anni dalla scomparsa di Pierangelo Bertoli nasce una versione di questa canzone (molto frequente tra i palinsesti radiofonici) che ha chiuso il concerto ‘Italia loves Emilia’ tenutosi il 22 settembre a Campovolo.
Alberto Bertoli e Renato Franchi (con la sua Orchestrina del suonatore Jones) sono i protagonisti di un doppio evento-tributo a Pierangelo Bertoli: una conferenza con gli studenti alla mattina e un concerto la sera. Incontro ambientato in una sala consiliare dove l’acustica è quasi ridondante, tuttavia le parole e la musica coinvolgono gli studenti con un’attenzione silenziosa e bramante. Questa volta dietro la cattedra non c’è un professore, ma un ragazzo che vuole condividere la sua eredità musicale e culturale per non far dimenticare l’enorme ricchezza che Pierangelo Bertoli ha lasciato alla musica italiana.
Alberto introduce le canzoni di suo padre ripercorrendo la vita di un uomo e di un cantautore con spiegazioni chiare e immediate, evidenziando un’ artista che non aveva paura di esprimere quello che sentiva.
I testi di Pierangelo Bertoli raccontano di sé e raccolgono la voce della gente, trasmettendo la necessità di vivere la propria vita senza compromessi e prevedendo anche una successione di eventi nazionali (Italia d’oro). Ci sono canzoni di Pierangelo ancora molto attuali, intrise di speranza (Eppure soffia) ed estrema coerenza (A muso duro).
Alberto porta avanti le ideologie di suo padre condividendone il modo di essere genuino e semplice. Lui non è solo un figlio d’arte perché la musica ce l’ha davvero in circolo.
Il forte legame con suo padre è evidente anche nella canzone “E così sei con me”, che il cantautore ha presentato alle selezioni per Sanremo 2013, senza essere ammesso.
ascolta “E così sei con me” »»»
Forse la canzone giusta sul palco sbagliato?
Alberto che da grande vuole fare il cantante e che in realtà lo è già adesso e gli riesce anche molto bene, non è uno di quegli artisti ‘preconfezionati’ che li puoi gustare giusto il tempo di un concerto: Lui ti trasmette qualcosa che va ben oltre tutto il bagaglio che ha, perché sa stare bene su un palco colmando pienamente gli spazi anche quando è da solo con la sua chitarra, perché Alberto è “tanta roba” e il pubblico è suo complice, e lui lo vive fino a coinvolgerlo oltrepassando di gran lunga il tempo a disposizione per il live (tre ore e mezza di concerto).
Non ricordo esattamente qual è stata la prima volta che ascoltai una canzone di suo padre, e a quindici anni, quando lo intervistai per una piccola emittente radiofonica, già canticchiavo le sue canzoni.
Dopo l’esibizione entrai nel suo camerino e ricordo ancora il suo “Allora Maya, ti è piaciuto il concerto?” e da lì un fiume di parole sulla musica e sulla vita, trovandomi immersa in una chiacchierata con un uomo che sapeva ascoltare chiunque, senza pregiudizi.
Nonostante la mia giovane età, era riuscito a trasmettermi le sue intenzioni riguardo l’aspetto civile e sociale del mondo. Anche se ancora non avevo la malizia e l’esperienza di una donna, lui riuscì a esaltare con semplicità e umiltà il senso più profondo della vita.
Mi consigliava di affrontare gli eventi imprevisti come uno sviluppo della persona e non come un limite imposto, senza difendersi dalle persone e dalle esperienze creando uno schermo, ma inebriandosi con esse per arricchirsi e crescere.
Un calore umano che ti coinvolgeva e avvolgeva come un abbraccio protettivo, quasi da togliere il fiato.
Così un’ intervista passa al fuori onda trasformandosi in una lezione di vita che ho custodito gelosamente in un cassetto per più di vent’anni.
Quando ho conosciuto Alberto, a tratti ho avuto la sensazione di portare avanti la chiacchierata con suo padre, sentendomi sbalzare indietro nel tempo, ma allo stesso modo proiettata razionalmente in una realtà dove pragmatismo e carisma sono continuità generazionale.
E’ vero che ogni tempo ha i suoi riferimenti musicali, ma le canzoni d’ autore non muoiono mai.